Siamo italiani a cura di David Bidussa
Siamo italiani. Ma qual è il significato di questa espressione? Anacronistica, in tempi in cui ci rendiamo conto che non sappiamo ormai più quello che siamo, né come dovremmo essere e perché non ci riusciamo a fare granché per divenire ciò che diciamo di voler essere.
Siamo italiani? Solo retorica… Oppure per dimostrare che siamo italiani abbiamo solo quale unico rimedio l’urlo della piazza e l’invocazione-imprecazione contro la politica?
Non è vero che la storia italiana ha prodotto da sempre lo stesso tipo di figura. È vero, invece, che noi italiani abbiamo una storia che non è solo fatta di disgrazie o di inganni. È fatta di anche di sviluppo e di crisi, di momenti alti, di avanguardia persino, e poi di lento declino.
Prendere confidenza con la storia significa, oltre che provare a indagarla davvero, confrontarsi su come ce la siamo spesso raccontata e su come ci siamo costruiti una retorica che serviva a consolarci o anche a dichiaraci vittime, ma sempre assolvendoci.
Scaricando la responsabilità sull’Europa che ci stravolge (una convinzione che non è nata con l’Euro), riducendo gli scandali a normale tran-tran, pronti a teorizzare l’arte di arrangiarsi e a invocare giustizia salvo ripensarci quando si tratta di rimetterci.
Ma mai disposti a rivedere le nostre certezze: da quelle del ‘‘pezzo di carta” che tutti disprezziamo, ma poi tutti vogliamo; di una pratica religiosa devozionale, ma senza crederci. Comunque non credenti, ma mai laici. Affascinati dalla tecnica, ma come gioco; privi di sapere scientifico ma convinti che sarà la fantasia, la creatività a garantire il nostro futuro.
Contrari a fare pazientemente i conti con la sconfitta, quando arriva, perché convinti che tutto sia l’effetto di perfidi Robinson che ottengono la fiducia di ingenui Venerdì. E che dunque sia sufficiente gridare perché ognuno esca dal torpore. Non sarà un urlo che seppellirà alcunché, così come mai è stata una risata. E che ci libererà.