Ritorno a Cold Mountain di Charles Frazier
Il romanzo è ambientato durante la Guerra Civile americana e narra due storie parallele
La prima è quella del soldato sudista Inman, che, dopo essere stato ferito e temendo di dover tornare al fronte, decide di disertare e fare ritorno al suo paese natale, dove l’aspetta l’amata. La seconda è quella di Ada, la fidanzata di Inman. Cresciuta nell’ambiente raffinato della buona società di Charleston, Ada è costretta a seguire il padre alla fattoria che quest’ultimo possiede a Cold Mountain. Tuttavia, alla morte del padre, Ada non ritorna in città, ma rimane a prendersi cura della fattoria e ad aspettare il ritorno di Inman.
Recensione de L’Indice
Ritorno a Cold Mountain di Charles Frazier è la storia romantica di una convalescenza impossibile. Ferito nel corpo, e più fatalmente nello spirito, dagli orrori di quattro anni di guerra civile, Inman, un soldato sudista d’origini contadine, fugge dall’ospedale dove è stato ricoverato, e cerca di far ritorno alla nativa Cold Mountain, North Carolina, dove Ada Monroe, la figlia del pastore, forse lo sta ancora aspettando.
Nella sua odissea attraverso le macerie della sconfitta imminente, gli episodi grotteschi o spietati si susseguono, fra essi aprendosi solo rare parentesi di serenità: come in una sosta tranquilla nel campo degli zingari; o nelle due notti che Inman trascorre, immobile, al fianco di una giovane vedova; o in quel sogno, “vivido come il giorno reale”, in cui Ada gli si avvicinava “allo stesso ritmo della pioggia” ed egli “anelava a stringerla fra le braccia, e si accingeva a farlo, ma per tre volte, mentre si protendeva verso di lei, Ada si dissolveva fra le sue braccia, diventava un’immagine sfuocata, tremula e grigia. La quarta volta, però, rimaneva solida e concreta, e si lasciava tenere stretta” – che è una variazione, molto riconoscibile, sull’incontro di Enea col fantasma di Creusa (“Eneide”, II, vv. 792-94).
Ma, nella maggior parte dei casi, Inman è costretto a fuggire dalla violenza più efferata, o ad attaccare e uccidere a sua volta, per sopravvivere o rendere giustizia, con la riluttanza implacabile degli ultimi personaggi di Clint Eastwood, o – se si preferisce – appunto con l’elegiaca “gravitas” dell’eroe virgiliano, piuttosto che con la bella incoscienza di quelli omerici. La dimensione del racconto è anzi profondamente morale; tale risoluto sentimento del bene e del male rischierebbe d’appesantire il romanzo, se quasi sempre non fosse governato da uno stile, un tono, di stupefatta rassegnazione, e non fosse spesso sorretto da un umorismo nero e straniante, nella più schietta tradizione di Poe e Mark Twain (vedi soprattutto il personaggio strepitoso di Veasey, indimenticabile predicatore ciarlatano, criminale in erba e vittima insensata).
Alle avventure di Inman, si alternano i capitoli dedicati ad Ada. La quale, educata in città al pianoforte e alle buone letture, dopo la morte improvvisa del padre si è ritrovata tutta sola a doversela cavare in una fattoria isolata, senza la minima idea di come si coltivi un orto, o si tiri il collo a un pollo. Così la sua sarebbe una ben tragica pastorale – anzi presto la giovane dovrebbe riparare a Charleston, rinunciando alla propria indipendenza “emersoniana” – se in suo aiuto non arrivasse Ruby, una ragazzina tanto selvatica e disimbranata, quanto Ada non è ancora uscita dalla bambagia (ma ci uscirà ben presto, imparando i colori dell’alba, i nomi degli alberi, e che quando si va a lavorare in campagna non serve portarsi dietro un libro come a una scampagnata…).
Insieme le due donne riescono a creare l’utopia di una comunità ideale, un idillio continuamente minacciato (la montagna è battuta dal perfido Teague e la sua banda a caccia di disertori), ma non così fragile come potrebbe sembrare – un luogo sacro e orgogliosamente domestico, come il tempio di Filemone e Bauci, la cui storia la non più giovane Ada starà leggendo nell’ultima pagina del libro.
“Ritorno a Cold Mountain* è veramente un libro totale. Ci sono decine di personaggi perfettamente caratterizzati; c’è l’amore e c’è la guerra; c’è la tragedia di un’intera nazione; ci sono gli orrori della schiavitù, ma anche i crimini degli Unionisti; lo sterminio degli indiani e la precaria sopravvivenza della loro saggezza nei racconti orali, e in canti e preghiere che sembrano scritti da Emerson; c’è la natura nei suoi aspetti più belli e delicati, più indifferenti, più mostruosi, e anche filtrata da certe splendide pagine dei “Viaggi” di William Bertram (il naturalista americano amato da Coleridge e Chateaubriand); ci sono la tragedia e la commedia, intrecciate come in un dramma shakespeariano; ci sono i tempi distruttivi della storia, e quelli ciclici e rigeneranti – dionisiaci e tuttavia ordinati – del mito e della musica.