Rosa conosce il mare di Ivana Sica
Quella che lega il mare agli umani sentimenti è una metafora antica quanto la poesia
Antica quanto l’amore. Quest’ultimo si fa largo nel cuore e lo modella proprio come il mare fa con le rocce salate, irrompe nella vita degli uomini con la violenza di una tempesta, si insinua in ogni fibra dell’essere come l’acqua fa nella carne. È il mare in tempesta a benedire l’amore; adultero, travolgente, consumante come la più dolce delle droghe; tra Rosa, bella, umile e casta sposa di un povero pescatore di Bellavista, e Don Francesco Signorelli, il nobile del luogo, uomo affascinante e irresistibile, noto amante delle avvenenti donne del paese le quali, dal canto loro, almeno una volta nella loro vita su di lui avevano fatto un pensierino. Ma un amore nato e consumato nella tempesta non può che travolgere, sconvolgere l’anima, come barca circondata dai flutti. Rosa non riesce a portare avanti una relazione che vive grazie al silenzio e alla complicità della notte, per questo decide di prendere con sé Irene, sua figlia, e di rifugiarsi dalla sorella Adele, che l’aveva preceduta in una fuga simile anni prima. Da Bellavista a Roma, da Roma a Piana, Rosa cerca di sfuggire ai suoi sentimenti come un animale braccato. Ma la passione non le dà tregua, la segue, la raggiunge, le divora il cuore e lei, incapace di resisterle, cederà alla stessa più volte, sino a decidere di morire in suo nome.
Un amore tormentato, intenso e carnale, un continuo sfuggire e rincorrere il cuore: in ”Rosa conosce il mare” ci sono tutti gli elementi atti a renderlo romanzo gradito ai lettori, e soprattutto alle lettrici, appassionate del genere rosa. Si tratta di un’opera che in verità, più che al romanzo, guarda alla soap opera: della soap recupera lo stile lieve e molto scorrevole (che a volte, però, non riesce ad evitare vere a proprie cadute di stile); la predominanza dell’elemento femminile (Giuseppina, Rosa e Adele, Irene e Marietta sono tre generazioni di donne, di madri, di amanti diverse); la caratterizzazione piuttosto stilizzata e stereotipata dei personaggi, soprattutto del bel Don Francesco; infine l’estremizzazione dei caratteri, delle classi sociali e dei sentimenti.
Rosa è infatti bellissima e corteggiata da ogni essere di sesso maschile che posi lo sguardo su di lei; ci sono i ricchissimi e i poveracci, i meridionali e i settentrionali, divisi come se fossero i guelfi e i ghibellini; l’amore è un sentimento totalizzante, sottilmente perverso, nel quale tutte in qualche modo annegano: da Giuseppina, che cede ai suoi fotoromanzi da quattro soldi, povera emula di madame Bovary, a Irene che, mettendo al mondo un figlio, riesce finalmente ad essere felice, a provare l’amore, dopo averlo cercato inutilmente nella droga.
Proprio il personaggio di Irene è quello meglio caratterizzato dall’autrice. Rosa infatti, nel suo essere un superlativo assoluto sia nella bellezza sia nella sfortuna, risulta in definitiva alquanto ”dozzinale”: tradisce il marito per ripicca nei suoi confronti, reo, quest’ultimo, di essere uscito in barca in un giorno di tempesta per guadagnare qualcosa in più per la sua famiglia (l’uomo non farà più ritorno). Una motivazione, questa, che costituisce un pretesto narrativo troppo debole per essere alla base della irresistibile passione di Rosa per il Don, visto e considerato che appena poche pagine prima la bella donzella era descritta come innamoratissima del suo pescatorello e assolutamente ostile alle avances del Signorelli (che abbiano ragione le vecchiette del paese dicendo di certe loro compaesane: «altro che vittime… quelle erano zoccole e basta!»).
Il personaggio di Irene, invece, suscita inevitabilmente le simpatie dei lettori: angelo decaduto, piccola barchetta trascinata dalla tempesta che sconvolge sua madre, la figlia di Rosa è una ”ragazza interrotta”, che le cattive amicizie ma, soprattutto, l’incapacità di comunicare l’amore (punizione, forse, per essere nata da un amore troppo forte, troppo irruento) trascinano nel vortice della droga, estasi effimera all’interno di una squallida relazione. Vittima, lei sì, autentica, dell’amore estremo di sua madre, sarà con l’amore ”sano”, pulito, per il marito Davide e per suo figlio che riuscirà a redimersi e a redimere la sua famiglia, terminando, con la nascita di un bambino, la catena di donne della sua famiglia, vittime in un modo o nell’altro del troppo amore.
Un romanzo rosa, dunque, che rispetta appieno ciò che le amanti di questo genere ricercano. Lo stile e il lessico dell’autrice forse troppe volte, soprattutto nella prima parte, si adegua all’ambiente povero e semplicione di Bellavista ma, tutto sommato, riesce a tener vivi nei lettori la curiosità e l’interesse. Duole solo per il personaggio di Irene, che avrebbe meritato uno spazio ben maggiore, vista la sensibilità con cui la Sica ha cercato di tratteggiarla.
Fonte: Saba Ercole per Libri Consigliati
L’AUTORE
Ivana Sica nasce a Soverato (CZ) il 10 dicembre 1960; otto anni dopo si trasferisce a Carpi (MO), dove attualmente vive con il marito e i due figli. Nel 1984 ha fondato l’agenzia di comunicazione che la vede a tutt’oggi impegnata. Diplomata alla scuola Holden di Torino nel 2008, nello stesso anno è arrivata finalista al concorso letterario Jaques Prévert. Nel 2008 ha pubblicato la raccolta di racconti brevi Tra cielo e terra (Milano, Montedit). Attualmente è iscritta alla scuola di teologia San Bernardino Realino a Carpi.
Fonte: libriconsigliati.it