È una storia autobiografica. Karen Blixen, infatti, è stata fino al ’31 in una fattoria dentro una piantagione di caffè sugli altipiani del Ngong, una terra che ha amato profondamente per i suoi colori, per la sua natura, per il carattere dei suoi abitanti: i Kikuyu, i Somali del deserto, i Masai condannati a vivere ed estinguersi nella loro riserva di prigionieri. Le descrizioni di uomini, alberi, animali hanno il valore di un documentario che non rivela solo la bellezza e la grandiosità del maestoso continente nero con le colline del Ngong che si stagliano contro il cielo limpido, con le mandrie di bufali selvaggi che corrono lungo i pendii erbosi, ma parla anche di genti con abitudini e ritmi di vita diversi che si mescolano con i riti e le abitudini portate dall’Europa.
“I bianchi cercano in tutti i modi di proteggersi dall’ignoto e dagli assalti del destino; l’indigeno, invece, considera il destino un amico, perché è nelle sue mani da sempre; per lui, in un certo senso, è la sua casa, l’oscurità familiare della capanna, il solco profondo delle sue radici”, scrive la Blixen. La grande scrittrice ha saputo cogliere anche le sfumature, anche le piccole differenze fra i popoli che convivono in un luogo dove il tempo ha un ritmo tutto suo, provando lei stessa e trasmettendo al lettore emozioni profonde. Un libro da leggere per capirne il significato intrinseco: descrizioni e sensazioni che solo una grande scrittrice come Karen Blixen riesce a trasmettere.