La bibliografia relativa a Simone Weil è piena di opere che insistono sugli elementi biografici e/o agiografici, il che, in un certo senso, è pienamente comprensibile: è difficile, infatti, non ammirare l’affascinante grandezza della sua vita.
Tuttavia, l’ammirazione per l’attivista sindacale, per la lucida osservatrice dei fatti politici sempre in prima linea nella difesa degli ultimi e dei deboli, fa spesso passare in secondo piano il suo valore filosofico.
Commentatori e critici tendono di solito a vedere nella Weil una moralista stravagante, un’anima mistica piuttosto che una vera pensatrice.
Miklos Vetö è invece mosso dalla convinzione che Simone Weil fu una filosofa a tutto tondo. Innegabilmente, nei suoi scritti, il più delle volte frammentari, esistono contraddizioni interne irriducibili e spesso i suoi tentativi di provare o illustrare le proprie idee si risolvono in insuccessi; eppure, malgrado l’apparente caos, il pensiero di Simone Weil è un tutto coerente, come l’autore dimostra basandosi soprattutto sul materiale risalente al terzo periodo della Weil, quello della maturità: il saggio sull’Iliade, i Cahiers, la Connaissance Surnaturelle.
Senza questi scritti, Simone Weil non sarebbe altro che una saggista brillante e una promessa di filosofa.
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