La via del coraggio di Mario Grossi
C’è una scena del film Barry Lindon che mi torna costantemente alla memoria: un grande campo di battaglia, un enorme prato in discesa da un lato e pianeggiante dall’altro di un colore verde smeraldo, brillante, lucido di rugiada
I due schieramenti nemici si fronteggiano a distanza e le casacche policrome dei soldati risaltano ancora più accese sullo sfondo verde. Le prime file di uno schieramento sono costituite da fucilieri che si stanno preparando alla prima scarica. Dall’altro s’impartisce l’ordine dell’assalto. Un assalto al passo, ordinato per file diritte e compatte. A guidarlo c’è un reggimento scozzese di cornamuse. I musicisti soldati sono armati solo dei loro strumenti, ma avanzano al ritmo della canzone che stanno intonando. Non arretrano, non si fermano, suonano trascinandosi dietro come dei pifferai magici i soldati armati di fucile e baionetta. La prima scarica dei fucilieri nemici è tutta per loro. Sullo schermo i corpi inanimati crollano sul prato verde, scavalcati dai soldati che seguono. Tutta la scena è sottolineata dalle dissonanze delle cornamuse che senza più fiato stridono e si afflosciano seguendo la sorte dei loro padroni. Sembra a prima vista una crudele apocalittica scena utile a dimostrare l’insensatezza della guerra e in parte è così. Ma se si guardano attentamente i volti impassibili e i gesti irrigiditi da un ferreo protocollo dei suonatori di cornamusa si potrà scorgere in quelle maschere pietrificate l’essenza del coraggio.
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